sabato 24 marzo 2012

Vietnaminity

«La carica genuina dei congolesi e il loro patchwork musicale mi hanno salvato dall'oscurità dei manicomi» Ezra Pound, Caccia Passione.
«I Vietnaminity mi ridicolizzano totalmente!» Marchese De Sade, Diario di un vecchio lussurioso.
«Questi scrivono sicuramente meglio di me, se non peggio di me, ma peggio di Hemingway, ma quel cavallo mi ha fatto perdere due centoni» Charles Bukowski, La mamma non ha comprato le carote ieri e altri racconti sconci.

Lo sconcerto al momento del ritrovamento di questo fondamentale vinile (dopo un diggin' aggressivo nella collezione del proprietario ermafrodito della nota stazione radiofonica congolese SP-AZZAF-U-ORI) ha un valore straordinario. Soffiata la polvere, resta quella simbolica e orgiastica supernova di batteri di clamidia. Uno schiaffo morale alla società vittoriana e conservatrice del Congo. Apro la custodia: le immagini sono sature, disturbanti, tuberose e primitive. Una PATATA antropomorfa gigante indica con il suo dito antropomorfo il vinile, nero come la pece. Sotto il suo consiglio lo inserisco nel giradischi, indosso le cuffie, una mimetica e lascio accesa la macchina, accendo una sigaretta, chiudo le persiane. Il livello di concentrazione è altissimo, quanto le aspettative su questa criptica opera. I musicisti decidono di partire senza mezzi termini con un synth calibrato al millimetro, quasi volesse accompagnarci nell'inferno privato in cui vivono. Quindi SBEM e SBAM e BZZ e ZOT: il synth crea una tessitura spessa, un muro sonoro invalicabile che sorregge la baritonale e imponente voce del cantante (censurato, come il resto della band). Un moderno satiro che declama poesie sulla guerra, sulla morte, sulle pratiche anali come parte integrante del folklore congolese (VIETATO AI MINORI DI QUALUNQUE ETA': miniaturizzano dei ragni e si, li infilano dentro. Si crede porti fortuna all'intestino), sui cerotti, sulle siringhe, sugli attimi vissuti insieme. Epocale manifesto di un mondo non troppo lontano da noi. Per quaranta minuti si è invasi da una sensazione di impotenza sonica, cisti universali, ambient destrutturato dal rigattiere (censurato), composizioni su base triangolare sintetizzata al midollo spinale. MONUMENTALI.

Bon Ton

«Un lavoro di una perizia sconvolgente, una sfera di cristallo sul futuro della nuova musica» - Gambero rosso
«Magistrale, elegante, raffinato» - Caccia e Pesca
«Oh ma il cantante si scopa la bassista raga» - Di Più TV
 
Vi odio tutti, stronzi è il sorprendente secondo album dei Tourette Was a Gentleman, formazione italo-croata che opera nelle Marche più recondite. Dopo una serie di EP contenenti perlopiù gestacci e parolacce e un primo LP chiamato Verza e merda i TWAG ci riprovano con un lavoro che ha dell'incredibile. Urla a caso si rincorrono tra orchestrazioni perfette, in un album che è un must have del panorama indie-folk nostrano. Gianni Guru, alla chitarra baritona e alla voce, Luigia Zanardi al basso e un misterioso batterista mascherato scrivono, insieme, testi e musiche. Un grossissimo apporto a questa perfezione strumentale e armonica è data dall'ingegnere del suono Peppe Manlio Mastrattoni, mito della scena indie marchigiana, ormai ritiratosi dopo il famoso incidente con le lancette dell'orologio. 
La loro ultima apparizione pubblica risale alle vendemmia 2009, quando hanno dato una mano ma poi Guru è stato punto da una vespa e sono andati tutti a casa, minacciando fortissimo querele; da quanto trapela, ora stanno preparando un nuovo tour dell'est Italia dal nome (forse provvisorio) di "Ma perché non siete rimasti a casa vostra, merde".
Comunque sia, abbiatelo, avetelo. Non ve ne pentirete.

4banane, 2lamponi/10

lunedì 5 marzo 2012

Foolishes' Mom

Di Lavinia Hate si è parlato sempre meno negli ultimi anni. Da sempre conosciuta come la regina del post-rock graffiaschiene e sbucciaginocchia, questa trentenne che di anni ne dimostra al massimo quindici ha trascinato le sue ossa appuntite sui palcoscenici di mezza Europa, tenendo fra le mani la sua inseparabile bottiglia di camomilla corretta. Un esordio sconcertante, con Rotten butterflies and bloody nails, composto di sole ghost-tracks dal retrogusto metallico e vagamente arrugginito, frutto di anni di non-studio e abuso di valeriana. Un lavoro che, come confesserà la Hate in quella che è diventata la sua intervista più famosa (durante la quale la giovane artista ha concepito il suo secondo figlio, ndr), le è costato sette tentativi di suicidio e un incendio accidentale della casa di famiglia, scoppiato dopo aver cercato di dare fuoco al testo di una canzone malriuscita, e forse non solo a quello. Ma ne è decisamente valsa la pena: è stato solo l'inizio di una carriera segnata dalla sperimentazione e dalle collaborazioni più improbabili, come quella con il gruppo folk pugliese Letestericcemozzate, che ha visto la nascita di un LP omonimo, nonché di Jeremy, figlio che la diva ha avuto dall'appena diciottenne batterista del gruppo. Da quel momento in poi le sue collaborazioni hanno visto solo band femminili, l'ultima delle quali ha dato vita all'innovativo progetto jazz con la sassofonista nonché fotografa Luna Lestrange, sconosciuta ai più, che ha immortalato la Hate per la copertina del loro album Perry, Betsy and smoke at midnight, suggestiva commistione di celebri cover dei pilastri del jazz e di brani inediti composti a tre mani (la Hate ne ha persa una per strada, o meglio, durante uno dei suoi sette mistici tentativi di raggiungere l'aldilà, ndr). Ma dopo anni di intensa attività e passionali collaborazioni, l'affascinante artista è stata protagonista di un irrimediabile declino, di cui nessuno conosce le motivazioni. Un giorno, semplicemente, non si è più vista né sentita, i suoi cd sono spariti dai negozi, nessuno ha più cantato le sue canzoni, neanche sotto la doccia. Un lento oblio sta divorando la sua prorompente immagine, e il mondo rischia di dimenticare la sua fluente chioma gialla e la sua voce graffiante. C'è chi pensa che l'ottavo tentativo sia andato a buon fine, e chi invece sostiene di averla vista sorseggiare vodka e camomilla, il suo cocktail preferito, nei locali della periferia londinese, in compagnia della sua nuova e barbuta fiamma (pare si chiami Jessica). Ovunque si trovi adesso, a noi piace ricordarla con le note della sua canzone che ha accompagnato tante soste nelle piazzole dell'autostrada, Trick me with my mom but please, don't f**k me sadly. Ci manchi, Lavinia.

[di Jun R.]