giovedì 24 maggio 2012

Mille bolle blu

Da "Bubbles: che v'importi o meno", la biografia ufficiale del gruppo grindpop norvegese che fece la storia

Tomm e Petr si guardarono intensamente; poi, senza dir nulla, rivolsero lo sguardo davanti a loro. Una lapide, grigia.
«Certo, ti ricordi, i tempi di Cokain and Apples for breakfast...»
«Non potrei mai dimenticarli. È anche grazie a lui se siamo riusciti a finirlo.»
«Ricordi? Volevamo dargli un altro nome.»
«Eravamo talmente famosi che l'avrebbero osannato comunque. Ma non potevamo rischiare.»
«Avremmo potuto permetterci qualsiasi cosa invece.»
«Your mom¹ forse risultava un po' eccessivo. Ma non si può mai sapere.»
«Purtroppo le cose sono andate così. Vero Mikael?»

Mikael, da circa dodici anni, non poteva più rispondere. Tomm aveva ancora un caschetto di riccioli biondi in testa. Petr, da vent'anni, metteva su improbabili cappelli: una piccola trincea contro la calvizie. Il vento passò gelido tra loro.

1. Tua madre, o vostra madre, in inglese (n.d.t.)

lunedì 16 aprile 2012

La maledizione del blues(1): Johnny Malaga

(tutti i grandi bluesmen muoiono. Poi che lo facciano anche i poveri cristi non è affar nostro)

Johnny Malaga aveva un successo enorme. Un nero con le mani da bianco ma la voce da nero, che faceva un blues talmente struggente che hanno seriamente pensato di riaprire i campi di cotone (ahahah, no davvero, l’hanno fatto). E una produzione interminabile di dischi: scriveva giorno dopo giorno, notte dopo notte, non si fermava più, registrava due, tre dischi all’anno, era inarrestabile, proprio bravissimo, struggentissimo, una cosa che ah signoramia!, non si fermava più, registrava, suonava, poi salutava sempre.
Poi è morto, dice. D’insonnia, dice.

sabato 24 marzo 2012

Vietnaminity

«La carica genuina dei congolesi e il loro patchwork musicale mi hanno salvato dall'oscurità dei manicomi» Ezra Pound, Caccia Passione.
«I Vietnaminity mi ridicolizzano totalmente!» Marchese De Sade, Diario di un vecchio lussurioso.
«Questi scrivono sicuramente meglio di me, se non peggio di me, ma peggio di Hemingway, ma quel cavallo mi ha fatto perdere due centoni» Charles Bukowski, La mamma non ha comprato le carote ieri e altri racconti sconci.

Lo sconcerto al momento del ritrovamento di questo fondamentale vinile (dopo un diggin' aggressivo nella collezione del proprietario ermafrodito della nota stazione radiofonica congolese SP-AZZAF-U-ORI) ha un valore straordinario. Soffiata la polvere, resta quella simbolica e orgiastica supernova di batteri di clamidia. Uno schiaffo morale alla società vittoriana e conservatrice del Congo. Apro la custodia: le immagini sono sature, disturbanti, tuberose e primitive. Una PATATA antropomorfa gigante indica con il suo dito antropomorfo il vinile, nero come la pece. Sotto il suo consiglio lo inserisco nel giradischi, indosso le cuffie, una mimetica e lascio accesa la macchina, accendo una sigaretta, chiudo le persiane. Il livello di concentrazione è altissimo, quanto le aspettative su questa criptica opera. I musicisti decidono di partire senza mezzi termini con un synth calibrato al millimetro, quasi volesse accompagnarci nell'inferno privato in cui vivono. Quindi SBEM e SBAM e BZZ e ZOT: il synth crea una tessitura spessa, un muro sonoro invalicabile che sorregge la baritonale e imponente voce del cantante (censurato, come il resto della band). Un moderno satiro che declama poesie sulla guerra, sulla morte, sulle pratiche anali come parte integrante del folklore congolese (VIETATO AI MINORI DI QUALUNQUE ETA': miniaturizzano dei ragni e si, li infilano dentro. Si crede porti fortuna all'intestino), sui cerotti, sulle siringhe, sugli attimi vissuti insieme. Epocale manifesto di un mondo non troppo lontano da noi. Per quaranta minuti si è invasi da una sensazione di impotenza sonica, cisti universali, ambient destrutturato dal rigattiere (censurato), composizioni su base triangolare sintetizzata al midollo spinale. MONUMENTALI.

Bon Ton

«Un lavoro di una perizia sconvolgente, una sfera di cristallo sul futuro della nuova musica» - Gambero rosso
«Magistrale, elegante, raffinato» - Caccia e Pesca
«Oh ma il cantante si scopa la bassista raga» - Di Più TV
 
Vi odio tutti, stronzi è il sorprendente secondo album dei Tourette Was a Gentleman, formazione italo-croata che opera nelle Marche più recondite. Dopo una serie di EP contenenti perlopiù gestacci e parolacce e un primo LP chiamato Verza e merda i TWAG ci riprovano con un lavoro che ha dell'incredibile. Urla a caso si rincorrono tra orchestrazioni perfette, in un album che è un must have del panorama indie-folk nostrano. Gianni Guru, alla chitarra baritona e alla voce, Luigia Zanardi al basso e un misterioso batterista mascherato scrivono, insieme, testi e musiche. Un grossissimo apporto a questa perfezione strumentale e armonica è data dall'ingegnere del suono Peppe Manlio Mastrattoni, mito della scena indie marchigiana, ormai ritiratosi dopo il famoso incidente con le lancette dell'orologio. 
La loro ultima apparizione pubblica risale alle vendemmia 2009, quando hanno dato una mano ma poi Guru è stato punto da una vespa e sono andati tutti a casa, minacciando fortissimo querele; da quanto trapela, ora stanno preparando un nuovo tour dell'est Italia dal nome (forse provvisorio) di "Ma perché non siete rimasti a casa vostra, merde".
Comunque sia, abbiatelo, avetelo. Non ve ne pentirete.

4banane, 2lamponi/10

lunedì 5 marzo 2012

Foolishes' Mom

Di Lavinia Hate si è parlato sempre meno negli ultimi anni. Da sempre conosciuta come la regina del post-rock graffiaschiene e sbucciaginocchia, questa trentenne che di anni ne dimostra al massimo quindici ha trascinato le sue ossa appuntite sui palcoscenici di mezza Europa, tenendo fra le mani la sua inseparabile bottiglia di camomilla corretta. Un esordio sconcertante, con Rotten butterflies and bloody nails, composto di sole ghost-tracks dal retrogusto metallico e vagamente arrugginito, frutto di anni di non-studio e abuso di valeriana. Un lavoro che, come confesserà la Hate in quella che è diventata la sua intervista più famosa (durante la quale la giovane artista ha concepito il suo secondo figlio, ndr), le è costato sette tentativi di suicidio e un incendio accidentale della casa di famiglia, scoppiato dopo aver cercato di dare fuoco al testo di una canzone malriuscita, e forse non solo a quello. Ma ne è decisamente valsa la pena: è stato solo l'inizio di una carriera segnata dalla sperimentazione e dalle collaborazioni più improbabili, come quella con il gruppo folk pugliese Letestericcemozzate, che ha visto la nascita di un LP omonimo, nonché di Jeremy, figlio che la diva ha avuto dall'appena diciottenne batterista del gruppo. Da quel momento in poi le sue collaborazioni hanno visto solo band femminili, l'ultima delle quali ha dato vita all'innovativo progetto jazz con la sassofonista nonché fotografa Luna Lestrange, sconosciuta ai più, che ha immortalato la Hate per la copertina del loro album Perry, Betsy and smoke at midnight, suggestiva commistione di celebri cover dei pilastri del jazz e di brani inediti composti a tre mani (la Hate ne ha persa una per strada, o meglio, durante uno dei suoi sette mistici tentativi di raggiungere l'aldilà, ndr). Ma dopo anni di intensa attività e passionali collaborazioni, l'affascinante artista è stata protagonista di un irrimediabile declino, di cui nessuno conosce le motivazioni. Un giorno, semplicemente, non si è più vista né sentita, i suoi cd sono spariti dai negozi, nessuno ha più cantato le sue canzoni, neanche sotto la doccia. Un lento oblio sta divorando la sua prorompente immagine, e il mondo rischia di dimenticare la sua fluente chioma gialla e la sua voce graffiante. C'è chi pensa che l'ottavo tentativo sia andato a buon fine, e chi invece sostiene di averla vista sorseggiare vodka e camomilla, il suo cocktail preferito, nei locali della periferia londinese, in compagnia della sua nuova e barbuta fiamma (pare si chiami Jessica). Ovunque si trovi adesso, a noi piace ricordarla con le note della sua canzone che ha accompagnato tante soste nelle piazzole dell'autostrada, Trick me with my mom but please, don't f**k me sadly. Ci manchi, Lavinia.

[di Jun R.]

lunedì 27 febbraio 2012

Viaggio al centro del mondo

Si presentano con una copertina minimale, in netta contrapposizione al contenuto musicale di questo vinile dal sapore mefitico, i Pursuit Eva Henger, nome tanto evocativo quanto simbolo di una cultura underground, figlia del folk-hawaiano post governo Gojek. Acquistai quest'opera nel 1999, mentre accompagnavo Hidden Clit e MC Guadagno (hip-hop bolscevo-pugliese, ma ne parleremo), in una macelleria del quartiere 7 di Flatlandia. Oltre alla sensazionale copertina (sfondo nero su un profilo di sfondo nero), è il titolo dell'opera omnia del gruppo a richiamare subito l'attenzione, "In Laude, Vagito Raudo Bible". Si tratta di un folk lisergico, con impennate verso circuiti madrededios-metal (approfondimento a breve), l'uso dei silenzi come manifestazione di un disagio profondo verso il presidente Gojek, storico gerarca hawaiano, che impedì alla popolazione di bere acqua ai pasti. La formazione, con Jesus "Puke-nose" Ramirez alla voce, testi e synth, Miracle "CutItAll" Lamas al basso e Gerry "YesOrMaybe" Funfur, è celebre per gli scontri a fuoco ai concerti, per le argute sessioni di monopoli (al David Letterman), per la partecipazione a movimenti attivisti quali "Salva la tua donna: la permanente è importante", "La religione: Fatima possedeva intimo maschile?" etc. Ma, tralasciamo per un secondo il gossip, ed entriamo nel dettaglio. Parte il disco e si viene letteralmente avvolti da uno sbadiglio che infiamma la coclea, si innesta nel cervello e vi terrà inchiodati al pavimento per tutta la durata (due minuti e 66). Capolavoro imprendiscibile, per gli amanti di Arian Kuntzupfler, James Hitlessolini e Sigmund Kafka.

Lamento di Ariano


Delle origini di Arian Kuntzüpfler si conosce molto poco. Innanzitutto, probabilmente questo non è il suo vero nome. E' nato da qualche parte (BO) nella Russia Bianca, o Bielorussia, come alcuni giovani si apprestano ora a chiamarla, sul finire degli anni '60, in pieno regime comunista, piena guerra fredda, fra tutti i casini del mondo. Fra tutti i casini del mondo, a quanto pare, lui finì proprio dove non succedeva niente. Secondo dei racconti poco attendibili di ubriaconi slavi, questo nulla desolante (e, a detta di uno, una voglia estrema di fanta™, che, ricordiamo, nell'URSS non poteva essere commercializzata) lo spinse alla fuga, a 16 anni, verso il grande ovest, seguito da un cane e inseguito dalla madre, e viceversa; fino al grande punto nodale, il luogo in cui la fuga dal comunismo imperante era probabilmente più difficoltosa: Berlino. Lì gli anni passarono veloci e il nostro si ritrovò, il 9 novembre 1989, a ballare (sbronzo, nudo) sul muro in disfacimento. Le prime testimonianze parlano di un Kuntzüpfler illuminato che, superato il trauma del totalitarismo, ripudia con rabbia tutti i regimi e gli eccessi, "cancro della società civile, antitesi della libertà umana".
Di pochi mesi dopo è l'adesione a un partito neonazista brutto tedesco, e la quasi contemporanea formazione del suo primo e unico gruppo, gli Arian die Klage, di cui scriverà testi e musiche dell'LP omonimo per cui ora è considerato uomo di punta nel nazi punk. Per qualche oscuro motivo il disco, intriso di sano nazionalsocialismo teutonico, non fu accolto positivamente dalla critica uscente dalla guerra fredda e così iniziò la lunghissima gavetta della band. Innumerevoli esibizioni sfociarono in risse e pestaggi, dichiarazioni di guerra alla polonia e ubriacature moleste. Kuntzüpfler, alla voce e alla chitarra (che non cambiò mai, per i 6 anni di attività; non voleva neanche cambiare le corde, in realtà, ma pare che l'accorata preghiera del batterista - del quale, curiosamente, non conosciamo il nome - gli abbia fatto cambiare idea), è ricordato, a parte per il peculiare taglio dei suoi baffi, per i modi despotici con i suoi musicisti; gli Arian die Klage vantano infatti il maggior numero di turnisti e accattoni della storia della musica. Degna di nota fu la defenestrazione del primo, storico bassista, Humptmann: pare che, finito alla perfezione un pezzo dei più complessi (3, 4 accordi, una parte melodica di 12 note, con 2 biscrome), il marrano delle quattro corde abbia pronunziato la parola francese "voilà"; la mollezza albergava in lui come un terribile morbo e fu allontanato senza troppe cerimonie dalla germanica gloria degli Arian. Dopo il lungo, infinito quanto estenuante quanto infruttuoso tour e una sfortunata disavventura nella foresta nera (di cui nei paesi della NATO, per legge, non possiamo parlare) Kuntzüpfler ebbe il suo primo collasso psichico alla sola vista del Mare del Nord.
Alcuni dicono che la crisi del gruppo sia iniziata qui, altri affermano puntigliosi che una crisi, per iniziare, debba riguardare una realtà in qualche modo avviata: come dar torto ad entrambi?
Credo fosse questa la stessa cosa che Kuntzüpfler pensò quando, in quel curioso raduno di persone col suo stesso peculiare taglio di baffi, invitato a eseguire la sua opera summa dall'inizio alla fine (a rigor di cronaca, va detto che in realtà l'ultimo pezzo fu la melodia di "Buon Compleanno" suonata per il figlio del barista dell'evento) (con ovviamente dei membri del gruppo totalmente nuovi), si attorcigliò per tutto il corpo il cavo jack della sua chitarra usuratissima, durante l'esibizione. Dopo i cinque secondi di un urlo mai sentito, limpido e perfetto, si rovesciò addosso una caraffa piena d'acqua. L'impianto elettrico esplose, e, nel panico generale per ripristinare la corrente servirono un paio di eterni minuti. Sul palco, tra il silenzio dell'assoluto, si ergeva Kuntzüpfler, in piedi, fumante, biondissimo, muto.